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Santi del 27 Dicembre

Il mio Santo > I Santi di Dicembre

*Beato Alfredo Parte - Scolopio, Martire (27 dicembre)

Schede dei Gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli Scolopi” - Senza data (Celebrazioni singole)
“Martiri della Guerra di Spagna” - Senza Data (Celebrazioni singole)
Cirraluelo de Bricia (Burgos), 2 giugno 1899 - Santander (Spagna), 27 dicembre 1936
Nacque in Spagna a Cirraluelo de Bricia (Burgos) il 2 giugno 1899; entrò fra gli Scolopi vestendone l'abito il 1° agosto 1915 ed emettendo i voti religiosi il 13 agosto del 1916. Diventò Sacerdote a Palencia il 3 marzo 1928. Svolgeva il suo ministero calasanziano nel Collegio delle Scuole Pie di Villacarriedo, sin dal 1922.
Da qui fu estromesso dai miliziani rivoluzionari nel luglio 1936; costretto a rifugiarsi in casa della zia a La Concha, venne arrestato il 17 novembre e rinchiuso nella nave-prigione, ancorata nel porto di Santander. Trascorse nella nave-fantasma «Alfonso Pérez» 40 giorni, insieme ad altri prigionieri e dal profondo della stiva, fu chiamato il 27 dicembre 1936 davanti ad un «Tribunale» allestito sulla nave. Gli fu suggerito di insudiciarsi le mani, per passare come fosse un manovale, ciò avrebbe potuto salvarlo, ma Padre Alfredo Parte rispose: «Io non voglio rinnegare la mia professione di Sacerdote e di Scolopio» e quindi si dichiarò: «Sacerdote scolopio di Villacarriedo». Fu la sua fine, giunto al termine della scaletta che portava in coperta, lo raggiunse un colpo di pistola alla nuca. (Avvenire)
Etimologia: Alfredo = guidato dagli elfi, dall'anglosassone
Martirologio Romano: A Santander in Cantabria sulla costa della Spagna, Beato Alfredo Parte, sacerdote dell’Ordine dei Chierici regolari delle Scuole Pie e martire, che, durante la persecuzione, fu condotto in quanto sacerdote a glorioso martirio.
La feroce guerra civile spagnola, che imperversò in due momenti successivi, separati fra loro dal breve spazio di due anni, nel 1934 con la Rivoluzione delle Asturie (5-14 ottobre) e dal luglio 1936 al 1939; portò in essa per una complessa combinazioni di varie ragioni, oltre che motivi politici, anche un filone di aperta lotta antireligiosa.
A causa di ciò, caddero vittime innocenti, migliaia di ecclesiastici, di tutte le condizioni, vescovi, sacerdoti, suore, seminaristi, religiosi di parecchi Ordini, laici impegnati nell’apostolato cattolico.
Nel 1934 i martiri furono pochi, grazie al duro intervento del Generale Franco, ma specie nel 1936 il numero raggiunse oltre 7000 martiri, fu una vera e propria persecuzione generalizzata, che durò più a lungo, colpendo le zone della Spagna dove si era affermata la Repubblica ad opera di gruppi e partiti estremisti, che agirono con potere autonomo ed arbitrario.
E fra i tanti martiri dei vari Ordini Religiosi, che nulla avevano a che fare con la politica, la Chiesa il 1° ottobre 1995 con Papa Giovanni Paolo II, ha beatificato tredici Religiosi Scolopi, come venivano e
vengono chiamati, i membri della “Congregazione delle Scuole Pie”, fondata da San Giuseppe Calasanzio nel 1597. Essi tutti spagnoli, morirono in giorni e luoghi diversi, in quel fatidico anno 1936; ne riportiamo i nomi e per quanto riguarda le loro note biografiche, si rimanda alla scheda propria di ognuno: Padre Dionisio Pamplona, padre Manuel Segura, fratel David Carlos, padre Faustino Oteiza, fratel Fiorentino Felipe, padre Enrico Canadell, padre Maties Cardona, padre Francesco Carceller, padre Ignasi Casanovas, padre Carlos Navarro, padre José Ferrer, padre Juan Agramunt, padre Alfredo Parte.
Padre Alfredo Parte nacque a Cirraluelo de Bricia (Burgos) il 2 giugno 1899; entrò fra gli Scolopi vestendone l’abito il 1° agosto 1915 ed emettendo i voti religiosi il 13 agosto del 1916.
I suoi studi e la sua formazione filosofica e teologica, iniziata ad Irache, fu interrotta da una lunga malattia, poté essere ordinato sacerdote a Palencia il 3 marzo 1928 a 29 anni; scriveva di lui un suo confratello: “Era una cosa che edificava vederlo con le sue stampelle così allegro, come se fosse completamente sano, sempre con il sorriso sulle labbra”.
Svolgeva il suo ministero calasanziano nel Collegio delle Scuole Pie di Villacarriedo, sin dal 1922 e da dove fu estromesso dai miliziani rivoluzionari nel luglio 1936; fu costretto a rifugiarsi in casa della zia a La Concha e qui venne arrestato il 17 novembre e qualche giorno dopo rinchiuso nella nave-prigione, ancorata per questo scopo nel porto di Santander.
Trascorse nella stiva della nave-fantasma ‘Alfonso Pérez’ 40 giorni, insieme ad altri prigionieri e dal profondo della stiva, venne chiamato il 27 dicembre 1936, per presentarsi davanti ad un cosiddetto ‘Tribunale’ allestito nella stessa nave per giudicare i prigionieri.
Gli fu suggerito di insudiciarsi le mani, per passare come fosse un manovale, ciò avrebbe potuto salvarlo, ma padre Alfredo Parte ringraziando per il consiglio, rispose: “Io non voglio rinnegare la mia professione di sacerdote e di scolopio” e quindi ai supposti giudici si dichiarò: “Sacerdote scolopio di Villacarriedo”.
Fu la sua fine, giunto al termine della scaletta che portava in coperta, lo raggiunse un colpo di pistola alla nuca; si aggiunse così alla grande schiera di martiri di quella scellerata persecuzione, per sempre impressa nella storia della cattolica Spagna.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Alfredo Parte, pregate per noi.

*Santa Fabiola di Roma - Matrona Romana (27 dicembre)

m. 399
Nel Sabato santo di un anno imprecisato Fabiola si presenta, vestita con tela di sacco, nella basilica di San Giovanni in Laterano, chiedendo di essere accolta nella Chiesa.
Discende da un casato illustre nella storia romana, quello dei Fabi, e alle spalle ha già due matrimoni finiti il primo con un divorzio, il secondo con la morte del marito. Facendosi cristiana, si fa anche povera, rinunciando ai suoi beni e costruendo un ospedale per i malati. Un giorno le accade di appassionarsi a un trattato sulla vita eremitica. Autore ne è Gerolamo, che dal 385 si trova in Palestina.
Fabiola decide di vivere anche lei in solitudine e nel 394 va da lui in Palestina, affidandosi alla sua guida spirituale. Nel 395, però, essendo l'Impero in pericolo per l'irruzione di popoli germanici dal Nord, decide di tornare a Roma tra i suoi, a spartirne ansie e difficoltà; e continua a vivere al modo
degli eremiti, ma alla preghiera solitaria accompagna il lavoro per i poveri. Pur restando laica, diventa così un modello per il mondo monastico e per la gente comune di Roma. Muore nel 399. (Avvenire)
Etimologia: Fabiola = dalla romana gens Fabia
Martirologio Romano: Commemorazione di anta Fabíola, vedova romana, che, secondo la testimonianza di san Girolamo, volse e destinò la sua vita di penitenza a beneficio dei poveri.
L'unica fonte biografica è l'Epistola 77 di s. Girolamo, scritta nell'estate del 400 ad Oceano. Della nobile famiglia dei Fabi, Fabiola andò assai giovane sposa ad un uomo vizioso dal quale poco dopo divorziò per sposarsi nuovamente.
Mortole il secondo marito, riparò il peccato presentandosi nella basilica lateranense la vigilia di Pasqua davanti al Papa, al clero ed ai fedeli e chiedendo perdono.
Ritiratasi a vita privata si dedicò all'assistenza dei poveri fondando un hospitium e distribuì le sue sostanze a monasteri.
Nel 394 andò in Palestina ospite di San Girolamo ed ivi si dedicò allo studio delle Sacre Scritture. L'anno seguente tornò a Roma dove visse poveramente, morendovi nel 400. Ai suoi funerali partecipò tutta la città al canto dell'Alleluja.
Girolamo le indirizzò nel 397 una dissertazione sulle vesti sacerdotali ed a lei pure destinò, nel 400, il Liber exegeticus de XLII mansionibus Israelitarum in deserto.
Essa, inoltre, aveva fatto tesoro della lettera di Girolamo scritta al monaco Eliodoro intorno al 376 in cui era elogiata la solitudine.
Nella lettera ad Oceano così Girolam,o sintetizza le virtù di Fabiola: "Laudem Christianorum, miraculum gentilium, luctum pauperum, solatium monachorum".
Il nome di Fabiola figura nei martirologi solo dal XV al XVIII sec. al 27 dicembre; non fu però inclusa dal Baronio nel Martirologio Romano. Essa deve la sua larga notorietà al famoso romanzo del card. Wisemann, intitolato Fabiola ossia la Chiesa delle catacombe (Londra 1855) che ci presenta una Fabiola "spettatrice simpatica delle ultime persecuzioni", anziché una matrona penitente della fine del sec. IV.
(Autore: Dante Salboni – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Fabiola di Roma, pregate per noi.

*Beato Francesco Spoto - Sacerdote e Martire (27 dicembre)
Raffadali, Agrigento, 8 luglio 1924 - Erira, Congo, 27 dicembre 1964
Nato l'8 luglio 1924 a Raffadali in provincia di Agrigento, nel 1936, Francesco Spoto entra nel seminario dei padri Bocconisti a Palermo e il 22 Luglio 1951 viene ordinato sacerdote dal cardinale Ernesto Ruffini.
Nel Capitolo generale del 1959, ad appena 35 anni, i confratelli lo eleggono superiore generale. Il 4 Agosto 1964 si reca a Biringi, nello Zaire, nella missione aperta tre anni prima, per visitare i suoi fratelli, ma viene sorpreso dalla rivoluzione dei «Simba» e il 3 dicembre è catturato insieme a quattro missionari.
Padre Spoto riesce ad evadere e, a piedi nudi ed esausto dopo per aver vagato tutto un giorno in mezzo nella boscaglia si inginocchia e prega: «Signore, ti offro la mia vita, ma salva i miei confratelli».
Muore il 27 dicembre 1964 a soli 40 anni, in seguito ai maltrattamenti subiti dai «Simba» mentre i tre confratelli, si salvavano. Le sue spoglie vengono portate in Italia e dal 1987 si trovano nella chiesa «Cuore Eucaristico di Gesù» a Palermo. Lo scorso 21 aprile è stato proclamato Beato. (Avvenire)
Nacque l'8 Luglio 1924 a Raffadali (AG). I genitori con la vita gli trasmisero la fede, la correttezza morale e uno straordinario senso del dovere.
Nel 1936 entrò nel seminario dei padri Bocconisti a Palermo e il 22 Luglio 1951, nel santuario "Madonna dei Rimedi", venne ordinato sacerdote dal Card. Ernesto Ruffini. Alcuni giorni prima aveva scritto a un suo cugino sacerdote: "… un senso di trepidazione mi pervade riflettendo sulla grave
responsabilità di cui dovrò essere rivestito…".
Nel capitolo generale del 1959, ad appena 35 anni, era tale la stima di cui era circondato che i confratelli lo elessero superiore generale.
Scriverà alla madre alcuni giorni dopo: "questa elezione è stata una sorpresa per me: ho cercato di vivere sempre nel nascondimento e nella ritiratezza… ora in un momento ho compiuto un balzo in avanti impensabile ed imprevedibile. Bisogna rassegnarsi alla volontà di Dio… confido nel Signore che non mi farà mancare mai né la salute né la prudenza e la sapienza nello agire.
Alle mie debolezze riparerà Lui che è Onnipotente". Portò a termine l'approvazione delle costituzioni da parte della Santa Sede e fece introdurre la causa di canonizzazione di Padre Giacomo Cusmano.
Il 4 Agosto 1964 si recò a Biringi (Zaire) nella missione aperta tre anni prima, per confortare i suoi fratelli. In Zaire lo sorprese la rivoluzione dei "Simba".
Il 3 Dicembre i quattro missionari furono catturati. Padre Spoto riuscì ad evadere, a piedi nudi, ed esausto di forze per aver vagato tutto un giorno in mezzo alla spessa boscaglia si inginocchiò e pregò: "Signore, ti offro la mia vita, ma salva i miei confratelli". Il 27 dicembre 1964 a soli 40 anni, in seguito agli stenti, alle percosse e alle vessazioni dei Simba, moriva e i tre confratelli, di lì a poco, misteriosamente si salvavano.
Le venerate spoglie furono portate in Italia e dal 1987 si trovano nella chiesa "Cuore Eucaristico di Gesù". Il 26 giugno 2006 Papa Benedetto XVI ha riconosciuto ufficialmente il martirio di Don Francesco Spoto ed il 21 aprile 2007 è stato beatificato. La Congregazione dei Servi dei Poveri (comunemente chiamati Bocconisti) fondata dal Beato Giacomo Cusmano lo celebra il 24 settembre, giorno del suo Battesimo.
(Autore: Silvestro Terranova – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francesco Spoto, pregate per noi.

*San Giovanni - Apostolo ed Evangelista (27 dicembre)

Betsaida Iulia, I secolo - Efeso, 104 ca.
L'autore del quarto Vangelo e dell'Apocalisse, figlio di Zebedeo e fratello di Giacomo maggiore, venne considerato dal Sinedrio un «incolto».
In realtà i suoi scritti sono una vetta della teologia cristiana. La sua propensione più alla contemplazione che all'azione non deve farlo credere, però, una figura "eterea".
Si pensi al soprannome con cui Gesù - di cui fu discepolo tra i Dodici - chiamò lui e il fratello: «figli del tuono».

Lui si definisce semplicemente «il discepolo che Gesù amava».
Assistette alla Passione con Maria. E con lei, dice la tradizione, visse a Efeso.
Qui morì tra fine del I e inizio del II secolo, dopo l'esilio a Patmos.
Per Paolo era una «colonna» della Chiesa, con Pietro e Giacomo. (Avvenire)
Patronato: Scrittori, Editori, Teologi
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Emblema: Aquila, Calderone d'olio bollente, Coppa
Martirologio Romano: Festa di San Giovanni, Apostolo ed Evangelista, che, figlio di Zebedeo, fu insieme al fratello Giacomo e a Pietro testimone della trasfigurazione e della passione del Signore, dal quale ricevette stando ai piedi della croce Maria come madre.
Nel Vangelo e in altri scritti si dimostra teologo, che, ritenuto degno di contemplare la gloria del Verbo incarnato, annunciò ciò che vide con i propri occhi.
Il più giovane e il più longevo degli Apostoli; il discepolo più presente nei grandi avvenimenti della vita di Gesù; autore del quarto Vangelo, opera essenzialmente dottrinale e dell’Apocalisse, unico libro profetico del Nuovo Testamento.
Giovanni era originario della Galilea, di una zona sulle rive del lago di Tiberiade (forse Betsaida Iulia), figlio di Zebedeo e di Salome, fratello di Giacomo il Maggiore; la madre era nel gruppo di donne che seguivano ed assistevano Gesù salendo fino al Calvario, forse era cugina della Madonna; il padre aveva una piccola impresa di pesca sul lago anche con dipendenti.
Pur essendo benestante e con conoscenze nelle alte sfere sacerdotali, non era mai stato alla scuola dei rabbini e quindi era considerato come ‘illetterato e popolano’, tale che qualche studioso ha avanzato l’ipotesi che lui abbia solo dettato le sue opere, scritte da un suo discepolo.
Giovanni è da considerarsi in ordine temporale come il primo degli apostoli conosciuto da Gesù, come è l’ultimo degli Apostoli viventi, con cui si conclude la missione apostolica tesa ad illuminare la Rivelazione.
Infatti egli era già discepolo di San Giovanni Battista, quando questi additò a lui ed Andrea Gesù che passava, dicendo “Ecco l’Agnello di Dio” e i due discepoli udito ciò presero a seguire Gesù, il quale accortosi di loro domandò: “Che cercate?” e loro risposero: “Rabbi dove abiti?” e Gesù li invitò a seguirlo fino al suo alloggio, dove si fermarono per quel giorno; “erano le quattro del pomeriggio”, specifica lui stesso, a conferma della forte impressione riportata da quell’incontro.
In seguito si unì agli altri apostoli, quando Gesù passando sulla riva del lago, secondo il Vangelo di Matteo, chiamò lui e il fratello Giacomo intenti a rammendare le reti, a seguirlo ed essi “subito, lasciata la barca e il padre loro, lo seguirono”.
Da allora ebbe uno speciale posto nel collegio apostolico, era il più giovane ma nell’elenco è sempre nominato fra i primi quattro, fu prediletto da Pietro, forse suo compaesano, ma soprattutto da Gesù al punto che Giovanni nel Vangelo chiama se stesso “il discepolo che Gesù amava”.
Fra i discepoli di Gesù fu infatti tra gli intimi con Pietro e il fratello Giacomo, che accompagnarono il Maestro nelle occasioni più importanti, come quando risuscitò la figlia di Giairo, nella Trasfigurazione sul Monte Tabor, nell’agonia del Getsemani.
Con Pietro si recò a preparare la cena pasquale e in questa ultima cena a Gerusalemme ebbe un posto d’onore alla destra di Gesù, e dietro richiesta di Pietro, Giovanni appoggiando con gesto di consolazione e affetto la testa sul petto di Gesù, gli chiese il nome del traditore fra loro.
Tale scena di alta drammaticità, è stata nei secoli raffigurata nell’"Ultima Cena" di tanti celebri artisti. Dopo essere scappato con tutti gli altri, quando Gesù fu catturato, lo seguì con Pietro durante il processo e unico tra gli Apostoli si trovò ai piedi della croce accanto a Maria, della quale si prese cura, avendola Gesù affidatagliela dalla croce.
Fu insieme a Pietro, il primo a ricevere l’annunzio del sepolcro vuoto da parte della Maddalena e con Pietro corse al sepolcro giungendovi per primo perché più giovane, ma per rispetto a Pietro non entrò, fermandosi all’ingresso; entrato dopo di lui poté vedere per terra i panni in cui era avvolto Gesù, la vista di ciò gli illuminò la mente e credette nella Resurrezione forse anche prima di Pietro, che se ne tornava meravigliato dell’accaduto.
Giovanni fu presente alle successive apparizioni di Gesù agli apostoli riuniti e il primo a riconoscerlo quando avvenne la pesca miracolosa sul lago di Tiberiade; assistette al conferimento del primato a
Pietro; insieme ad altri apostoli ricevette da Gesù la solenne missione apostolica e la promessa dello Spirito Santo, che ricevette nella Pentecoste insieme agli altri e Maria.
Seguì quasi sempre Pietro nel suo apostolato, era con lui quando operò il primo clamoroso miracolo della guarigione dello storpio alla porta del tempio chiamata “Bella”; insieme a Pietro fu più volte arrestato dal Sinedrio a causa della loro predicazione, fu flagellato insieme al gruppo degli arrestati.
Con Pietro, narrano gli Atti degli Apostoli, fu inviato in Samaria a consolidare la fede già diffusa da Filippo. San Paolo verso l’anno 53, lo qualificò insieme a Pietro e Giacomo il Maggiore come ‘colonne’ della nascente Chiesa.
Il fratello Giacomo fu decapitato verso il 42 da Erode Agrippa I, protomartire fra gli Apostoli; Giovanni, secondo antiche tradizioni, lasciata definitivamente Gerusalemme (nel 57 già non c’era più) prese a diffondere il cristianesimo nell’Asia Minore, reggendo la Chiesa di Efeso e altre comunità della regione.
Anche Giovanni adempì la profezia di Gesù di imitarlo nella passione; anche se non subì il martirio come il fratello e gli altri apostoli, dovette patire la persecuzione di Domiziano (51-96) la seconda contro i cristiani, che negli ultimi anni del suo impero, 95 ca., conosciuta la fama dell’apostolo, lo convocò a Roma e dopo averlo fatto rasare i capelli in segno di scherno, lo fece immergere in una caldaia di olio bollente davanti alla porta Latina; ma Giovanni ne uscì incolume.
Ancora oggi un tempietto ottagonale disegnato dal Bramante e completato dal Borromini, ricorda il leggendario miracolo.
Fu poi esiliato nell’isola di Patmos (arcipelago delle Sporadi a circa 70 km da Efeso) a causa della sua predicazione e della testimonianza di Gesù.
Dopo la morte di Domiziano, salì al trono l’imperatore Nerva (96-98) tollerante verso i cristiani; quindi Giovanni poté tornare ad Efeso dove continuò ad esortare i fedeli all’amore fraterno, finché ultracentenario morì verso il 104, cosicché il più giovane degli Apostoli, il vergine perché non si sposò, visse più a lungo di tutti portando con la sua testimonianza, l’insegnamento di Cristo fino ai cristiani del II secolo.
Sulla sua tomba ad Efeso, fu edificata nei secoli V e VI una magnifica basilica.
In vita la tradizione e gli antichi scritti gli attribuiscono svariati prodigi, come di essersi salvato senza danno da un avvelenamento e dopo essere stato buttato in mare; ad Efeso risuscitò anche un morto. Alle riunioni dei suoi discepoli, ormai vecchissimo, veniva trasportato a braccia, ripetendo soltanto “Figlioli, amatevi gli uni gli altri” e a chi gli domandava perché ripeteva sempre la stessa frase, rispose: “ Perché è precetto del Signore, se questo solo si compia, basta”.
Fra tutti gli apostoli e i discepoli, Giovanni fu la figura più luminosa e più completa, dalla sua giovinezza trasse l’ardore nel seguire Gesù e dalla sua longevità la saggezza della sua dottrina e della sua guida apostolica, indicando nella Grazia la base naturale del vivere cristiano.
La sua propensione più alla contemplazione che all’azione, non deve far credere ad una figura fantasiosa e delicata, anzi fu caldo e impetuoso, tanto da essere chiamato insieme al fratello Giacomo "figlio del tuono", ma sempre zelante in tutto.
Teologo altissimo, specie nel mettere in risalto la divinità di Gesù, mistico sublime fu anche storico scrupoloso, sottolineando accuratamente l’umanità di Cristo, raccontando particolari umani che gli altri evangelisti non fanno, come la cacciata dei mercanti dal tempio, il sedersi stanco, il piangere per Lazzaro, la sete sulla croce, il proclamarsi uomo, ecc.
Giovanni è chiamato giustamente l’Evangelista della carità e il teologo della verità e luce, egli poté penetrare la verità, perché si era fatto penetrare dal divino amore.
Il suo Vangelo, il quarto, ebbe a partire dal II secolo la definizione di “Vangelo spirituale” che l’ha accompagnato nei secoli; Origene nel III secolo, per la sua alta qualità teologica lo chiamò "il fiore dei Vangeli".
Gli studiosi affermano che l’opera ebbe una vicenda editoriale svolta in più tappe; essa parte nell’ambiente palestinese, da una tradizione orale legata all’apostolo Giovanni, datata negli anni successivi alla morte di Cristo e prima del 70, esprimendosi in aramaico; poi si ha un edizione del vangelo in greco, destinata all’Asia Minore con centro principale la bella città di Efeso e qui collabora alla stesura un ‘evangelista’, discepolo che raccoglie il messaggio dell’apostolo e lo adatta ai nuovi lettori.
Inizialmente il vangelo si concludeva con il capitolo 20, diviso in due grandi sezioni; dai capitoli 1 a 12 chiamato “Libro dei segni”, cioè dei sette miracoli scelti da Giovanni per illustrare la figura di Gesù, Figlio di Dio e dai capitoli 13 a 20 chiamato “Libro dell’ora”, cioè del momento supremo della sua vita offerta sulla croce, che contiene i mirabili “discorsi di addio” dell’ultima Cena. Alla fine del I secolo comparvero i capitoli finali da 21 a 23, dove si allude anche alla morte dell’apostolo.
All’inizio del Vangelo di Giovanni è posto un prologo con un inno di straordinaria bellezza, divenuto una delle pagine più celebri dell’intera Bibbia e che dal XIII secolo fino all’ultimo Concilio, chiudeva la
celebrazione della Messa: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio….”.
L’Apocalisse come già detto è l’unico libro profetico del Nuovo Testamento e conclude il ciclo dei libri sacri e canonici riconosciuti dalla Chiesa, il suo titolo in greco vuol dire ‘Rivelazione’.
Denso di simbolismi, spesso si è creduto che fosse un infausto oracolo sulla fine del mondo, invece è un messaggio concreto di speranza, rivolto alle Chiese in crisi interna e colpite dalla persecuzione di Babilonia o della bestia, cioè la Roma imperiale, affinché ritrovino coraggio nella fede, dimostrandolo con la testimonianza. È un’opera di grande potenza e suggestione e anche se il linguaggio e i simboli sono del genere "apocalittico", corrente letteraria e teologica molto diffusa nel giudaismo, il libro si autodefinisce "profezia", cioè lettura dell’azione di Dio all’interno della storia.
Colori, animali, sogni, visioni, numeri, segni cosmici, città, costellano il libro e sono gli elementi di questa interpretazione della storia alla luce della fede e della speranza.
Il libro inizia con la scena della corte divina con l’Agnello - Cristo e il libro della storia umana e alla fine dell’opera c’è il duello definitivo tra Bene e Male, cioè tra la Chiesa e la Prostituta (Roma) imperiale, con la rivelazione della Gerusalemme celeste, dove si attende la venuta finale del Cristo Salvatore.
Di Giovanni esistono anche tre ‘Epistole’ scritte probabilmente a Efeso, che hanno lo scopo di sottolineare e difendere presso determinati gruppi di fedeli (o uno solo, con la terza) alcune verità fondamentali, che erano attaccate da dottrine gnostiche.
San Giovanni ha come simbolo l’aquila, perché come si credeva che l’aquila potesse fissare il sole, anche lui nel suo Vangelo fissò la profondità della divinità.
È il patrono della Turchia e dell’Asia Minore, patronato confermato da Papa Benedetto XV il 26 ottobre 1914; giacché Gesù gli affidò la Vergine Maria, è considerato patrono delle vergini e delle vedove; per i suoi grandi scritti è patrono dei teologi, scrittori, artisti; per il suo supplizio dell'olio bollente, protegge tutti coloro che sono esposti a bruciature oppure hanno a che fare con l’olio, quindi: proprietari di frantoi, produttori di olio per lampade, armaioli; patrono degli alchimisti, è invocato contro gli avvelenamenti e le intossicazioni alimentari.
Anche i “Quattro Cavalieri dell’Apocalisse” che rappresentano conquista, guerra, fame, morte, sono un suo simbolo.
In Oriente il suo culto aveva per centro principale Efeso, dove visse e l’isola di Patmos nel Dodecanneso dove fu esiliato a dove nel secolo XI San Cristodulo fondò un monastero a lui dedicato, inglobando la grotta dove l’apostolo ricevette le rivelazioni e scrisse l’Apocalisse.
In Occidente il suo culto si diffuse in tutta Europa e templi e chiese sono a lui dedicate un po’ dappertutto, ma la chiesa principale costruita in suo onore è S. Giovanni in Laterano, la cattedrale di Roma. Inizialmente i grandi santi del primo cristianesimo Stefano, Pietro, Paolo, Giacomo, Giovanni, erano celebrati fra il Natale e la Circoncisione (1° gennaio); poi con lo spostamento in altre date di San Pietro, San Paolo e San Giacomo, rimasero solo Santo Stefano il 26 dicembre e San Giovanni apostolo ed evangelista il 27 dicembre.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni, pregate per noi.

*Beato Giuseppe Maria (José Maria) Corbin Ferrer - Giovane laico, Martire (27 dicembre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”
Valencia, Spagna, 26 dicembre 1914 - Nave-Prigione “Alfonso Pérez”, 27 dicembre 1936
Martirologio Romano: In una galera all’ancora sempre al largo di Santander in Spagna, Beato Giuseppe Maria Corbin Ferrer, che affrontò la gloriosa prova per Cristo.
José María Corbín Ferrer nacque a Valencia, in Spagna, il 26 dicembre 1914 e fu battezzato il 1° gennaio seguente nella chiesa parrocchiale di Santo Stefano in Valencia.
Brillante studente universitario di Scienze Chimiche, per il suo impegno apostolico nella Federazione degli Studenti dell’Azione Cattolica José María fu arrestato a Santander il 28 agosto 1936, nel contesto della guerra civile spagnola appena scoppiata.
Il 27 dicembre 1936 sulla Nave-Carcere “Alfonso Pérez” José María Corbín Ferrer, giovane laico, subì il martirio in odio alla fede, spargendo così il suo sangue per Cristo.
Papa Giovanni Paolo II lo ha beatificato l’11 marzo 2001 con altre 232 vittime della medesima persecuzione.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Maria Corbin Ferrer, pregate per noi.

*Santa Nicarete (Niceras) di Costantinopoli - Vergine (27 dicembre)

Morta intorno al 504.
Nata a Nicomedia, ma residente a Costantinopoli, dove divenne una leale amica e sostenitrice di San Giovanni Crisostomo condividendone le sofferenze e l'esilio.
Sozomeno è il solo storico che menzioni Nicarete.
Originaria di una grande famiglia di Nicomedia, era venuta a Costantinopoli durante il governo di San Giovanni Crisostomo (398 - 404) di cui si guadagnò la stima e l'affetto; ma alle cariche che egli voleva affidarle (diaconessa, superiora di un gruppo di vergini della Chiesa) ella preferì la vita ritirata e umile.
Quando Giovanni Crisostomo fu espulso per la prima volta, ella venne privata della maggior parte dei suoi beni; utilizzò tuttavia il poco che le era rimasto per opere di carità, specialmente verso i malati.
Quando nel 404 scoppiò la persecuzione contro i partigiani di Giovanni Crisostomo, Nicarete lasciò Costantinopoli.
Si ignora la data e il luogo della sua morte.
Né in Oriente, né in Occidente questa Santa è stata menzionata nei calendari; C. Baronio per primo l'introdusse alla data arbitraria del 27 dicembre nel Martirologio Romano.
(Autore: Joseph-Marie Sauget – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Nicarete di Costantinopoli, pregate per noi.

*Beato Odoardo Focherini - Padre di famiglia, martire (27 dicembre)
Carpi, Modena, 6 giugno 1907 – Hersbruck, Germania, 27 dicembre 1944

Odoardo Focherini, nato a Carpi da genitori trentini, si formò all’apostolato tramite l’adesione all’Azione Cattolica, nella quale ricoprì molti incarichi, ultimo quello di presidente diocesano. Sposo di Maria Marchesi, che gli diede sette figli, lavorava come assicuratore, ma in parallelo collaborava con varie testate d’ispirazione cattolica, come il quotidiano «L’Avvenire d’Italia». Con l’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, mise in piedi una rete di sostegno per far sfuggire alla persecuzione oltre cento ebrei. Dopo aver salvato l’ultimo, fu arrestato dalla polizia nazifascista e internato nei campi di concentramento di Fossoli, Gries, Flossenburg e Hersbruck. Morì in quest’ultimo luogo, a 37 anni, il 27 dicembre 1944. È stato beatificato a Carpi il 15 giugno 2013, sotto il pontificato di papa Francesco. La sua memoria liturgica, per le regioni ecclesiastiche dell’Emilia Romagna e del Trentino, è stata stabilita al 6 giugno, giorno del suo compleanno.
Ha impiegato più la Chiesa ad accertare che la sua morte è avvenuta "in odium fidei" ed a riconoscerlo martire, che non le Comunità Israelitiche italiane a concedergli la Medaglia d’Oro (nel 1955) o la Commissione dello Yad vaShem a conferirgli il titolo di "Giusto tra le nazioni" (nel 1969).
Infatti, la causa di beatificazione di Odoardo Focherini è stata avviata solo nel 1996, anche se poi è proceduta speditamente, tanto da poter arrivare il 10 maggio 2012 al riconoscimento del martirio, che il 15 giugno 2013 lo ha portato sugli altari. Così l’Azione Cattolica, che nello stesso anno ha visto la beatificazione di Giuseppe Toniolo, è stata di nuovo in festa per un altro suo beato, perché Focherini ne è stato anche presidente per la diocesi di Carpi.
Di famiglia originaria del Trentino, ma per adozione modenese a tutti gli effetti, Odo (come familiarmente chiamato) è una splendida figura di laico, marito e padre, che paga con la vita la sua coerenza cristiana.
Per vivere fa l’assicuratore, per apostolato è giornalista (collabora con «L’Osservatore Romano» e con «L’Avvenire d’Italia», di cui diviene anche segretario amministrativo), a tempo pieno è marito affettuoso e padre premuroso di sette figli; sempre, in ogni condizione e stato di vita, è cristiano esemplare.
A 17 anni è già responsabile dell’oratorio che prima aveva frequentato, promotore del giornale per ragazzi «L’Aspirante» e responsabile di Azione Cattolica. Ha un direttore spirituale stabile e si forma a ideali grandi, capaci di dare senso alla vita.
A 18 anni si fidanza con Maria Marchesi e la sposa a 23: lei gli regalerà sette figli che saranno il suo orgoglio e lo scopo della sua vita. Comunque, non al punto da fargli dimenticare i suoi impegni di apostolato attivo, in primo luogo in parrocchia e poi con la carta stampata, che cerca in qualche modo di conciliare con i suoi impegni di agente della Società Cattolica di Assicurazione.
In tempo di guerra, insieme alla moglie, organizza  una postazione "casalinga" della rete creata dalla Croce Rossa in collaborazione col Vaticano per aiutare le persone a mantenere i contatti con i soldati al fronte, ma eroe lo diventa per caso, o meglio ancora per conseguenza, solo nel 1942.
Un giorno si vede affidare un gruppetto di ebrei polacchi dal direttore de «L’Avvenire d’Italia», che li ha avuti a sua volta in consegna dal vescovo di Genova, con il preciso incarico di provvedere al loro espatrio, in modo da evitare la loro deportazione.
Riesce a procurare documenti contraffatti ed a far varcare loro il confine col sud d’Italia. Da quel giorno si perfeziona nella falsificazione di documenti, riuscendo così a salvare la vita ad almeno 105 ebrei con l’aiuto di don Dante Sala e una rete di collaboratori.
All’ultimo, Enrico Donati, porta i documenti in ospedale, a Carpi, ma all’uscita viene prelevato dal segretario del Fascio e accompagnato in questura, a Modena, l’11 marzo 1944. Non ne uscirà più, se non per essere rinchiuso in carcere. Viene interrogato una sola volta: il 5 luglio è inviato nel campo di concentramento di Fossoli, successivamente in quello di Gries, vicino Bolzano.
Di questo periodo restano ben 166 lettere indirizzate al giornale, alla moglie ed ai genitori che riesce a far passare sotto il naso dei tedeschi, facendole arrivare a destinazione evitando la censura. In esse nessun cedimento, nessuna recriminazione per la sua attività clandestina che ha determinato il suo arresto, piuttosto una constatazione riferita al cognato : «Se tu avessi visto, come ho visto io in questo carcere, cosa fanno patire agli Ebrei, non rimpiangeresti se non di non averne salvati in numero maggiore».
Sereno sempre, anche se provato nel fisico dalle fatiche, aiuta come può i compagni di prigionia e sono in molti ad affermare di aver avuto salva la vita grazie a lui. Lo trasferiscono prima a Flossenburg, nella Baviera Orientale, poi nel sottocampo di Hersbruck, dove muore a 37 anni, il 27 dicembre 1944.
Ad assisterlo nei momenti estremi Teresio Olivelli (Venerabile dal 2015), che Odo aveva salvato da morte certa, sfamandolo di nascosto. Prima di morire a sua volta nello stesso campo, avrà il tempo di trasmettere le ultime parole dell’amico: «Dichiaro di morire nella più pura fede cattolica apostolica romana e nella piena sottomissione alla volontà di Dio, offrendo la mia vita in olocausto per la mia Diocesi, per l’Azione Cattolica, per il Papa e per il ritorno della pace nel mondo».
(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
I martiri sotto il nazismo
Alla grande strage programmata dai tedeschi di Hitler contro il popolo ebraico va unito il sacrificio di tante figure di sacerdoti, religiosi e laici, che spesero la loro vita nell’aiuto concreto ai perseguitati di quel triste periodo della storia d’Europa.
Alcuni sono già stati elevati agli onori degli altari, ma tanti altri sono avviati al riconoscimento ufficiale del loro martirio e della loro santità nello stesso contesto storico. È il caso, ad esempio, di Odoardo Focherini, laico e padre di famiglia italiano.
La famiglia d’origine
Odoardo nacque il 6 giugno 1907 a Carpi, nell’omonima diocesi (provincia di Modena). Ebbe in tutto tre fratelli, frutto dei due matrimoni del padre, Tobia Focherini: il primo con Maria Bertacchini, che aveva dato alla luce anche Odoardo, ma morì nel 1909; il secondo con Teresa Merighi, che gli fece da mamma.
Il padre era originario del Trentino, precisamente di Cellentino in Val di Peio: la famiglia era emigrata nella Pianura Padana, dopo la chiusura delle miniere di Fucine in Val di Sole. A Carpi il padre aprì un negozio di ferramenta, nel quale collaborò anche Odoardo dopo le scuole elementari e tecniche.
La formazione
Odoardo frequentò come tanti ragazzi carpigiani la vita dell’oratorio, dove fece due incontri importanti. Il primo fu con don Armando Benatti, apostolo della gioventù, che si occupò della sua formazione religiosa. In seguito strinse un intenso legame con Zeno Saltini, poi sacerdote e fondatore di Nomadelfia, che gli trasmise l’interesse per l’impegno socio-politico.
Nel 1924, non ancora ventenne, fu tra i fondatori de «L’Aspirante», il primo giornale cattolico per ragazzi, che divenne mezzo di collegamento nazionale per i ragazzi di Azione Cattolica in Italia.
Il matrimonio, il lavoro, l’apostolato
Durante una vacanza in Val di Non, vicino alla valle di origine del padre, Odoardo conobbe Maria Marchesi, della quale si innamorò. Uniti dalla stessa visione cristiana della vita, si sposarono il 9 luglio 1930; dal loro matrimonio nacquero sette figli desiderati ed amati.
Odoardo iniziò a lavorare nella Società Cattolica di Assicurazioni di Verona il 1° gennaio 1934, con il ruolo di ispettore per le zone di Carpi, Ferrara, Udine e Pordenone. Il suo poco tempo libero era dedicato ad attività apostoliche, come conferenze sociali e religiose e i congressi eucaristici diocesani; fu anche membro fondatore della sezione locale dell’Unitalsi e impegnato nella Società di San Vincenzo de Paoli. Curava anche una compagnia filodrammatica ed era membro di una società ciclistica. Allo stesso tempo, promosse il movimento degli scout a Carpi.
L’impegno in Azione Cattolica e ne «L’Avvenire d’Italia»
Continuò senza interruzione il suo impegno nell’Azione Cattolica: nel 1928 divenne presidente della Federazione Giovanile Maschile e membro della Giunta Diocesana di A. C.; nel 1934 fu eletto
presidente della Sezione Uomini. Infine, nel 1936, passò all’incarico più alto: presidente dell’Azione Cattolica diocesana. Per i suoi meriti ecclesiali, nel 1937, papa Pio XI gli concesse la croce di Cavaliere di San Silvestro.
L’apostolato della stampa lo coinvolse pienamente: fu cronista attento e scrupoloso per la diocesi di Carpi presso «L’Avvenire d’Italia» e altre testate. Nel 1939 Odoardo ricevette un altro incarico importante: amministratore de «L’Avvenire d’Italia» nell’allora sede di Bologna.
Salvatore di molti ebrei
Con l’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale, nel giugno 1940, Odoardo organizzò un ufficio di contatto con i soldati al fronte. L’ufficio aveva due sedi: la Curia vescovile di Carpi e la sua abitazione di Mirandola.
Nel 1942, il direttore de «L’Avvenire d’Italia», Raimondo Manzini, gli affidò l’incarico di mettere al sicuro alcuni ebrei polacchi, giunti in Italia con un treno della Croce Rossa Internazionale e inviati a Bologna dal cardinale Pietro Boetto, arcivescovo di Genova.
Con l’inizio dell’intensificazione delle deportazioni razziali, dopo l’8 settembre 1943, creò una rete per l’espatrio verso la Svizzera, che salvò la vita a più di cento ebrei in collaborazione col sacerdote Dante Sala.
L’arresto e la prigionia
L’11 marzo 1944, Odoardo si recò all’ospedale Ramazzini di Carpi, sotto il pretesto di andare a trovare l’ebreo Enrico Donati: in realtà, doveva organizzarne la fuga verso la Svizzera. Fece in tempo a metterlo in salvo, ma all’uscita fu atteso dal reggente del Fascio di Carpi, che lo invitò a seguirlo con urgenza dal questore di Modena.
Giunto in Questura, gli venne comunicato che era in arresto: dopo 48 ore fu trasferito in auto al comando delle SS di Bologna. Lì fu interrogato, quindi venne rinchiuso nelle carceri di San Giovanni in Monte. Solo dal 17 marzo, tramite un amico giornalista a cui aveva scritto, riuscì a far pervenire delle lettere alla sua famiglia a Mirandola ed ai genitori a Carpi.
Le sue 166 lettere (di cui la maggior parte clandestine), che coprono il periodo dalla sua prigionia fino alla morte, costituiscono un prezioso documento storico e di conoscenza del suo animo profondamente cristiano e del suo legame con la famiglia.
La deportazione
Il 5 luglio 1944 fu trasferito al campo di concentramento di Fossoli presso Carpi: vi rimase un mese, riuscendo ad avere un facile contatto con i familiari perché si fece assegnare all’ufficio di posta.
Il 5 agosto seguente fu deportato nel campo di Gries, vicino Bolzano. Anche lì come a Fossoli riuscì a farsi assegnare alla posta, quindi riuscì con mille stratagemmi a far pervenire lettere e biglietti; incontrò di nuovo a Gries l’amico Teresio Olivelli (Venerabile dal 2015).
Il 5 settembre 1944 subì un ulteriore trasferimento a Flossenburg nella Baviera Orientale, in uno dei più vasti campi di lavoro e di sterminio realizzati dai nazisti. Dopo circa un mese, fu inviato a Hersbruck, uno dei 74 sottocampi di Flossenburg, vicino Norimberga. Qui dettò a Teresio Olivelli, anche lui internato nello stesso campo, le ultime due lettere alla famiglia.
La morte
A causa di una ferita alla gamba, che gli procurò una grave setticemia, Odoardo fu ricoverato in infermeria e fu assistito dall’amico Teresio, che raccolse le sue ultime parole. Si spense in un giorno impreciso tra il 24 e il 27 dicembre 1944. Olivelli morì una ventina di giorni dopo di lui, nello stesso campo, in seguito alle percosse ricevute a difesa di un compagno.
La conferma della sua morte giunse ai familiari e al vescovo di Carpi solo il 4 giugno 1945, con la testimonianza di due sopravvissuti, un sacerdote e il maggiore dei Carabinieri Salvatore Becciu.
Quest’ultimo poté trasmettere alla famiglia di Odoardo i suoi estremi pensieri: «Dichiaro di morire nella più pura fede cattolica apostolica romana e nella piena sottomissione alla volontà di Dio, offrendo la mia vita in olocausto per la mia Diocesi, per l’Azione Cattolica, per il Papa e per il ritorno della pace nel mondo».
I riconoscimenti civili
La disinteressata e pericolosa attività di Odoardo in favore degli ebrei perseguitati, gli ha meritato svariati riconoscimenti. Anzitutto, la Medaglia d’Oro alla memoria, concessa dall’Unione delle Comunità Israelitiche d’Italia nel 1955, seguita, nel 1969, dal titolo di "Giusto delle Nazioni", conferito dallo Stato d’Israele. Nel 2007 ha ottenuto la Medaglia d’oro al Merito civile. Inoltre, negli ultimi anni è stato ricordato anche in diversi Giardini dei Giusti in Italia.  
La causa di beatificazione
Il 12 febbraio 1996 la Santa Sede ha dato il nulla osta per il processo diocesano, allo scopo d’indagare se la morte di Odoardo Focherini fosse da considerarsi martirio. L’inchiesta, aperta nella diocesi di Carpi il 30 marzo 1996, si è conclusa il 5 giugno 1998 ed è stata convalidata col decreto del 28 maggio 1999.
La sua "Positio super martyrio" è stata consegnata nel 2003 ed è stata in seguito esaminata dai consultori teologi, il 16 ottobre 2007, e dai cardinali e vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi, il 3 aprile 2012. Infine il 10 maggio 2012, è stato promulgato il decreto che lo riconosceva come martire in odio alla fede.
La beatificazione e il culto
Odoardo Focherini è stato beatificato a Carpi il 15 giugno 2013, nella celebrazione presieduta dal cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, come inviato del Santo Padre. È il primo giornalista italiano elevato agli onori degli altari.
Il giorno della sua nascita al Cielo è stato fissato ufficialmente al 27 dicembre, ma la sua memoria liturgica è stata stabilita al 6 giugno, data del suo compleanno. È inclusa nel calendario della regione ecclesiastica Emilia Romagna, in cui ricade anche la diocesi di Carpi, dove il Beato visse, e in quello della regione ecclesiastica del Trentino, da dove provenivano i suoi genitori e sua moglie.
(Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Odoardo Focherini, pregate per noi.

*Beato Raimondo de Barellis - Mercedario (27 dicembre)
Nel convento di Sant'Eulalia in Lérida (Spagna), il Beato Raimondo de Barellis, fu un modello di vita religiosa dell'Ordine Mercedario.
Dopo aver accumulato infiniti meriti, decorosamente lasciò questo mondo per raggiungere la pace in Cristo Signore.
L'Ordine lo festeggia il 27 dicembre.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beata Sara Salkahazi - Vergine e Martire (27 dicembre)

Kassa-Kosice, Repubblica Slovacca, 11 maggio 1899 - Budapest, Ungheria, 27 dicembre 1944
Sara Salkahazi, Religiosa Professa dell’Istituto delle Suore dell’Assistenza, nacque l’11 maggio 1899 a Kassa-Kosice, in terra allora ungherese ed oggi in territorio slovacco, e fu uccisa in odio alla sua opera di difesa degli ebrei il 27 dicembre 1944 a Budapest (Ungheria).
La rapidissima causa di canonizzazione sul suo conto, avviata con il nulla osta della Santa Sede in data 14 dicembre 1996, ha portato in soli dieci anni al riconoscimento del suo martirio “in odium fidei” il 28
aprile 2006, passo necessario per la sua beatificazione senza la necessità di un miracolo avvenuto per sua intercessione.
La cerimonia di beatificazione è stata celebrata a Budapest il 17 settembre 2006.
I vari regimi totalitari del XX secolo hanno mietuto nel continente europeo una schiera innumerevole di vittime, tra le quali molti cristiani che di fronte a tante atrocità non esitarono comunque a testimoniare la loro fede.
Tra i pochi ungheresi morti in tali circostanze e già innalzati agli onori degli altari troviamo Sara Salkahazi, nata l’11 maggio 1899 presso la città di Kassa, oggi conosciuta come Kosice in territorio slovacco. In giovane età fu impegnata in diverse attività: rilegatore, giornalista e redattore di un giornale. Nel 1930 prese i voti nell’Istituto delle Suore dell’Assistenza. Il motto della sua vita religiosa fu: “Alleluia! Ecce ego, mitte me!”, cioè “Alleluia! Eccomi, manda me!”
Durante i mesi finali della seconda guerra mondiale si prodigò nell’aiuto agli ebrei perseguitati, offrendo loro rifugio in un edificio di proprietà dell’istituto religioso. Fu però prontamente segnalata alle autorità da alcune spie ed i membri del partito ungherese filonazista non esitarono a procedere ad un rastrellamento, fucilando a Budapest sul fiume Danubio Sara ed altre donne ebree sue protette. Pochi istanti prima Sara fece il segno della croce, testimoniando così la sua fede cristiana che l’aveva spinta alla caritatevole accoglienza dei perseguitati di un altra religione. La religiosa condivise così la medesima sorte che secoli prima era toccata a San Gerardo, primo vescovo ed apostolo dell’Ungheria. Il suo corpo non fu mai rinvenuto, forse trasportato più a valle dalle acque del grande fiume.
Suor Sára Salkaházi testimoniò sino all’estremo sacrificio “il modo in cui un vero cristiano deve comportarsi in situazioni così tragiche”, sostiene il Cardinale Péter Erdo, Arcivescovo di Esztergom-Budapest e Primate d’Ungheria, che il 17 settembre 2006 ha proceduto alla beatificazione della religiosa dinnanzi alla cattedrale di Santo Stefano nella capitale ungherese. La rapidissima causa di canonizzazione sul suo conto, avviata con il nulla osta della Santa Sede in data 14 dicembre 1996, ha portato infatti in soli dieci anni al riconoscimento del suo martirio “in odium fidei” il 28 aprile 2006, passo necessario per la sua beatificazione senza la necessità di un miracolo avvenuto per sua intercessione.
Veramente commoventi e degni di nota sono alcuni passi dell’intervista rilasciata dal primate ungherese al portale cattolico Zenit, ricchi di testimonianza sulla vita della novella beata. Se ne riportano i passi più salienti: “Prima di tutto, Suor Sára è stata una donna molto moderna: giornalista nella città di Kosice che appartenne all’Ungheria quando ella è nata e che poi entrò a far parte della Cecoslovacchia; ha scritto per diversi giornali poi ha scritto anche diversi pezzi di teatro e i suoi scritti sono pieni di sensibilità umana ma anche pieni del pensiero cristiano. Attraverso questa sua attività intellettuale si è aperta verso la vocazione ed ha deciso di dedicare tutta la sua vita al servizio dei prossimi. È per questo che è entrata nella società delle Suore Sociali che era una congregazione nuova in quel tempo e che si occupava sopratutto del servizio dei poveri e dei malati.
Per quanto riguarda i poveri Suor Sára ha scoperto l’estrema necessità delle donne nella società di allora, delle donne che erano costrette a lavorare, pur avendo la famiglia da accudire, e che molto spesso vivevano in piena dipendenza e miseria. Ha organizzato anche diverse case per donne in situazione di crisi. Quindi un femminismo cristiano che caratterizzava il pensiero di questa suora e anche la casa a Budapest dove è stata Superiora alla fine della sua vita è stata una casa originalmente per le donne operaie e in questa casa hanno poi nascosto tante donne di origine ebraica. Questa non è stata un’azione isolata della Suor Sára ma anche organizzata centralmente di tutta la sua congregazione. Era un’azione molto ben organizzata e molto rischiosa e per questo Suor Sára in
una dedicazione solenne, fatta nella cappella della congregazione qui a Budapest, si è offerta come sacrificio della società per salvare tutti gli altri. Infatti, dopo la sua morte nessun’altra suora è rimasta massacrata, né dai nazisti e né dai comunisti che venivano successivamente.
É stata una storia veramente commovente già in quell’epoca, ma una storia sulla quale sotto il comunismo si parlava relativamente poco. Inoltre la causa di beatificazione è potuta cominciare soltanto dopo il cambiamento del sistema. La sua vita era inserita armonicamente nella sua congregazione quindi era un servizio sociale della persona umana perché oggi i grandi sistemi di previsione sociale anche di sanità, se funzionano, non riescono a funzionare come una volta anche nel mondo occidentale. Un’altra questione è che le prestazioni che danno questi sistemi sono generalmente prestazioni materiali e non direttamente personali, quindi i sistemi sono spersonalizzati, mentre l’aiuto che cercavano di dare queste suore era sempre un aiuto personalissimo che non calcolava soltanto la quantità degli alimenti distribuiti ma che cercava di mettersi in contatto personale con i bisognosi. Anche questo, secondo me, è un aspetto attualissimo della spiritualità cristiana.
Io conosco personalmente ancora delle signore che sono state salvate da Suor Sára oppure dalle altre suore della sua congregazione. Per me la sua figura era sempre una figura dei racconti degli anziani, se vogliamo una leggenda molto realistica, una prova del fatto che i santi non sono delle persone lontane da noi, dalla vita quotidiana, dalle nostre possibilità, ma che sono persone come noi che semplicemente nelle circostanze persino banali della vita quotidiana riescono a seguire con coerenza la volontà di Dio.
E questa prontezza della persona riceve poi la benedizione di Dio e in seguito alle nostre azioni semplici accadono dei miracoli, avvenimenti che poi scuotono un’intera generazione e che lasciano il loro ricordo per lunghissimo tempo, anche nella coscienza di una intera città o di un intero popolo”.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Sara Salkahazi, pregate per noi.

*Santi Teodoro e Teofane Grapti (27 dicembre)

Martirologio Romano: Ad Hisarlik in Bitinia, nell’odierna Turchia, passione di San Teodoro, monaco del monastero di San Saba in Palestina, sacerdote e martire, che, a Costantinopoli, insieme a suo fratello Teofane, per aver difeso il culto delle sacre immagini, dopo aver subito la fustigazione, la prigionia, l’esilio e il supplizio dell’incisione di alcuni versi sulla fronte, che gli valse il nome di Graptós, “marchiato”, spirò alla fine in carcere.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Teodoro e Teofane Grapti, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (27 dicembre)  
*
San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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